addì 14 febbraio 2021
Un uomo di età ormai avanzata, sentendo che i suoi giorni di vita erano prossimi alla conclusione, chiamò a sé i due figli per consegnare loro le sue ultime volontà.
Quando i due entrarono nella stanza, videro l'anziano genitore che, costretto a stare a letto per debolezza fisica dovuta alla vecchiaia avanzata, era immerso nei suoi pensieri, gli si avvicinarono.
Appena il padre vide i due figli, sorrise con soddisfazione. Sapeva, infatti, che i due ragazzi avrebbero accolto il suo invito, li conosceva bene nell'intimo, però non era certo di chi dei due avrebbe assunto la responsabilità di portare avanti la sua eredità, non solo quella materiale ed economica più "facile da capire e gestire", ma soprattutto quella che riteneva "l'eredità più importante", cioè la competente sapienza, la consapevole saggezza, la mite intelligenza.
Questa è la più grande eredità che l'anziano genitore desiderava lasciare come modello vero di esistenza dignitosa e, volendola tramandare a loro, disse ad entrambi:
«Figli miei, la mia vita è stata intensa, ho fatto di tutto per viverla con dignitosa pienezza e non è stata diversa da quella di ogni essere vivente. La vita è piena di gioie e dolori, dalla nascita fino alla morte, passando attraverso tutti i momenti della propria esistenza, seguendo il meccanismo con cui si alternano le varie età e le modalità con cui queste si caratterizzano».
Continuò dicendo:
«Tutta la vita é racchiusa tra due pianti di dolore: il primo pianto é il vagito della nascita alla vita, il secondo pianto è il distacco triste per dover lasciare questa stupenda carnale esistenza temporale.
Il pianto del primo vagito di ogni essere vivente, quando entra in questo mondo, caratterizza la prima espressione di dolore; probabilmente il precedente stato di soavità e la condizione di benessere paradisiaco avvolgono l'essere nella sua totalità, tanto da non pensare o immaginare o volere modificare nulla, desiderando solo di rimanere così com'è: è bello, è piacevole, è confortante, è sublime.
Invece, tutto ad un tratto, l'essere vivente si vede spinto e catapultato in un mondo completamente diverso, nel quale non ritrova più la soavità e il benessere, ma percepisce immediatamente un senso di fastidio e di malessere generalizzato: è caldo, è freddo, è fastidioso, è difficoltoso, è faticoso.
Però, dopo i primi momenti di sconcerto, l'abitudine al nuovo stato fisico e alla nuova condizione di vita, permette un facile adattamento a questo modello di esistenza, tanto che produce un senso di attaccamento molto forte; questo legame si vorrebbe che fosse indissolubile.
Inizialmente, nell'età della fanciullezza, tutto sembra conservare lo stato di soavità e la condizione di benessere paradisiaco, è un gioco molto bello, piacevole, confortante, sublime. Anche se si cade, mentre si gioca, il fisico non risente della caduta, sembra non percepire il dolore che viene attutito dalla spensieratezza gioiosa di vivere, soprattutto per il soccorso, la cura e l'assistenza di qualcuno che protegge il tutto come in una specie di nuvola ovattata.
Nell'età adolescenziale, cambia lo stato, mutano le condizioni, si presentano situazioni nuove, diverse, insidiose, faticose, fastidiose. Tutto è diverso, non c'è più la nuvola ovattata e quando si cade non è più un gioco; il fisico ne risente perché è diventato più rigido, legnoso e fragile. Chi ti soccorre, ti cura e ti assiste non è più protettivo, anzi, con rimproveri e azioni minacciose, richiede maggiore attenzione e autonomia per affrontare tutto quello che accade. Anche la mente viene messa a dura prova, per decidere le strategie e i meccanismi psicologici per affrontare le singole circostanze che accadono.
Nell'età giovanile ormai il fisico si è formato in tutto il suo vigore, la mente si è formata con tutti gli elementi necessari ad affrontare pensieri e ragionamenti capaci di concepire, produrre ed eseguire azioni autonome e scelte individuali che a volte si rivelano giuste e positive, a volte sono sbagliate e negative, come in una danza alternata tra momenti gioiosi e momenti tristi.
L'età adulta è quella delle scelte; queste sono dettate da una serie di condizioni e situazioni che hanno visto svanire la nuvola ovattata, al suo posto appare nitidamente la realtà visibile, tangibile, vivente ed esistente, nuda e cruda. L'ambiente di appartenenza, la salute, l'economia, il lavoro, la società, gli amici, la famiglia, i parenti contribuiscono tutti alla definizione dei limiti di vita, dei confini della libertà individuale, dell'equilibrio esistenziale.
L’età matura vede consolidare le scelte fatte, con un impegno di tutte le forza corporali e mentali nel conservare e stabilizzare lo stato e la condizione raggiunta nell'ambiente di appartenenza, nella cura della salute, nell'economia, nel lavoro, nella società, con gli amici, nella famiglia e con i parenti, anzi si cerca di allargare i limiti e i confini di quel benessere ottenuto.
Infine l’età del transito fa volgere lo sguardo verso il passato, con lo scorrere inesorabile delle immagini presenti nella propria e individuale memoria storica. Si rivedono idee, pensieri, azioni, immagini, emozioni, progetti realizzati o idealmente concepiti e abbandonati.
In questo variopinto caleidoscopio delle età, ci sono esseri viventi accompagnati da uno stato di grazia che consente loro di vivere in modo equilibrato, adeguato e fortunato, qualsiasi tipo di circostanza esistenziale, anche se certamente non manca la danza dei momenti gioiosi e tristi.
Ci sono esseri viventi accompagnati da uno stato mediamente gratificante che consente loro di vivere in modo al quanto equilibrato, non sempre adeguato e non sempre fortunato qualsiasi circostanza esistenziale e, certamente, non manca la danza tra momenti gioiosi e tristi.
Ci sono esseri viventi accompagnati da uno stato per niente gratificante che, purtroppo, non consente loro di vivere in modo dignitosamente equilibrato, serenamente adeguato e, anzi, sfortunato in qualsiasi circostanza esistenziale, con una danza di tanti momenti tristi e pochi o nulli momenti gioiosi.
Al termine dell’intera esistenza, ogni essere vivente è ormai abituato, è ormai adattato ed è ormai legato alla propria vita vissuta tanto che non c’è posto per nessun tipo di rimpianto; anzi, qualsiasi sia lo stato o la condizione, l’attaccamento alla vita è tale che produce, definisce e scatena l’istinto di conservazione che si aggrappa a qualsiasi sottile e flebile brandello di vita.
Questo è l’estremo momento in cui esplode e da cui scaturisce l’inesorabile secondo e ultimo pianto del distacco da questa stupenda carnale esistenza temporale.
Ed ecco che l’intera esistenza, dell’essere vivente, è caratterizzata dal primo pianto iniziale, nel momento della nascita alla vita, e dal secondo pianto finale, nel momento della morte alla vita. In mezzo ai due pianti: gioie e tristezze, piaceri e angosce, fatiche e riposi, godimenti e afflizioni, felicità e disperazioni, dispiaceri e consolazioni, supplizi e gaudio, amori e odi, cioè tutti gli infiniti momenti pieni di sentimenti, emozioni, sensazioni e percezioni appartenenti all’intera sfera che costituisce e definisce la carnale esistenza temporale di ogni essere vivente ed esistente».
Terminate queste riflessioni descrittive e rivolgendosi ai due figli, l’anziano genitore li esortava dicendo:
«Siate onesti con voi stessi, veri e sinceri, siate leali con gli altri e non ipocriti, accettate con serenità tutte le condizioni, tutte le situazioni e tutte le circostanze che accadono; queste spesso sono determinate dai propri voleri, desideri, illusioni, passioni; ed altrettanto spesso, sono anche posti, sul cammino di ognuno, come occasioni, come un dono da cogliere al momento giusto, purché siano riconosciuti come regali, altrimenti quei regali non riconosciuti e non accolti possono trasformarsi in tormenti e mortificazioni.
Insisto e vi raccomando di essere attenti a vigilare e tutelare al meglio le circostanze della vostra singola vita, il patrimonio delle conoscenze acquisite ed anche i beni materiali utili a vivere con sobrietà e onesta, senza sprechi o eccessi».
Questo racconto era l'insieme delle riflessioni di un uomo che, durante la sua vita, aveva vissuto con saggezza e che aveva permesso all'intera famiglia di vivere con serenità e dignità.
Il figlio maggiore rimase perplesso e amareggiato dalle parole e da tutto quello che aveva detto l’anziano genitore, perché non si riteneva ancora pronto ad affrontare il momento di questo distacco dal padre.
Infatti pensava, dentro di sé, che il genitore potesse ancora vivere a lungo, che aveva ancora la forza di continuare a svolgere le sue attività di vita, e lo incitava:
«Padre alzati, coraggio, tu sei stato un uomo forte, sicuro, saggio e sapiente, devi essere fiducioso nelle tue forze e vivrai».
Questo lo affermava non tanto perché il padre vivesse, quanto per essere ancora protetto da lui, in modo da proseguire col suo stile e col suo modo di vivere: spensierato senza responsabilità, divertendosi senza afflizioni, assistito senza preoccupazioni, sostenuto senza faticare.
Allora, infastidito da questo scioccante racconto che lo aveva spinto fuori della nuvola ovattata e catapultato nella realtà cruda che non gradiva, si allontano stizzito, quasi arrabbiato perché era costretto a subire ciò che non accettava, non voleva e non desiderava, rifiutando l'idea che tutto ciò potesse accadere.
Il figlio minore, rendendosi conto che il padre ormai aveva poche forze, anche se amareggiato dal pensare al prossimo distacco dal genitore e da quanto stava per accadere, accolse con mitezza e serenità queste indicazioni e si dispose a proseguire sulla stessa strada descritta e indicata dal padre: di sobrietà, di onestà e dignità.
Egli rimase al capezzale del genitore e lo accompagnò fino all’attimo del trapasso finale.
Il sereno sorriso sul volto del padre, dimostrava che il suo patrimonio di conoscenza, di saggezza e di intelligenza era passato a quel figlio degno successore della sua grande eredità spirituale, a cui si accompagnava anche la dignità dei beni materiali.
paBiS
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